Abstract
Il testo presenta un percorso ideale, iniziato nel quarto millennio avanti Cristo fino all’avvento dell’Islam, nell’area geografica definita come vicino e medio oriente, dell’idea/concetto di Dea Madre. Questa figura ritratta nel duplice aspetto di matrice primigenia di numi, esseri umani e piante, “Antica Madre” divinizzata corrisponde a una “Dea Madre”, che assume nomi diversi e spesso è associata a divinità maschili, per necessaria simmetria dei pantheon dell’Oriente antico. Il tempo segna un progressivo declinare della forza generatrice della Dea Madre, che si concluderà fondendosi nei tratti di dee madri dei pantheon sincretici dei culti orientali greci e romani. La storia delle religioni monoteiste terminerà in senso paradigmatico questo percorso. L’ultima delle religioni monoteiste, l’Islam, chiuderà definitivamente la possibilità di pensare e rappresentare una Dea Madre
Antica Madre /Dea Madre
Antica Madre in questo testo è il nome che definisce metaforicamente una vasta area cui l’umanità è debitrice. L’origine matriarcale delle prime civiltà è collocata nell’aura dei miti e delle leggende; non ci sono evidenze e documentazioni inconfutabili, ma solo ipotesi suggestive sul tema; non per questo non possiamo riferirci a questa terra d’origine se non con un nome di feconda generatrice. Antica Madre è la parte di Oriente, si tratti di Medio o Vicino Oriente[1], che ribadisce la prossimità spaziale e temporale rispetto al più lontano e ancor più “esotico” Estremo, con cui condivide l’aspetto singolare di essere costantemente definito e valutato rispetto al loro opposto geografico, e che si presenta sempre più come un antagonista cultuale: l’Occidente. Costantemente, in modo inconsapevole, Vicino e Medio Oriente sono per l’Occidente terra delle origini, da cui giunge attraverso stratificazioni ignote ai più, un flusso nascosto e sotterraneo; disposte lungo il suo corso riconosciamo simboli, luoghi, popoli e figure mitiche i cui tratti si confondono tra piani differenti, qui intrecciati come non mai di storia e mito. Antica Madre di radici tra le più profonde e più intime. Una autentica Terra Madre delle origini, il Crescente fertile in cui germogliò il seme della scrittura quasi contemporaneamente nella valle del Nilo e nella confluenza del Tigri ed Eufrate. Sono le punte estreme di quella Mezzaluna colorata riconoscibile in ogni cartina storico-geografica, una delle parti più rilevanti del patrimonio culturale mondiale. Il luogo che vanta millenni di storia scritta più di ogni altra parte del mondo: qui sono le radici profonde della società contemporanea, qui inizia la Storia cui siamo tributarie e tributari per molti degli aspetti fondanti delle nostre civiltà. La terra simbolica detta qui Antica Madre genera nella storia umana l’idea di Dea Madre.
In questo testo intendo delineare e indicare la continuità spazio-temporale della figura della Dea Madre di ambito semitico, lasciando ad altre esperte o esperti il compito di narrare della Dea Madre dell’altro corno del crescente fertile: l’Egitto faraonico, opposto alla culla della civiltà Sumero-Accadica, dove dal IV millennio a.C. esordisce la scrittura quasi contemporaneamente. Importante è valutare le fonti e provare a dare una corretta interpretazione. Prima[2] Dea Madre riconoscibile come tale agli inizi della civiltà sumera è Inanna[3]. Inanna(sumera)/Ištar (accadica) è una delle principali e più importanti divinità del pantheon mesopotamico. Dea della fecondità e dell’amore nei suoi molteplici aspetti assume anche carattere di divinità guerriera. Nel suo aspetto astrale Inanna/Ištar è il pianeta Venere, la stella del mattino e della sera. È adorata quale pianeta Venere con il nome di Ninsi'anna, il suo epiteto è “santa torcia che riempie i cieli”. La sua natura e i suoi attributi variarono a seconda del tempo e del luogo in cui è venerata. Le caratteristiche principali restano identiche. La divinità che si diffonde dal IV al I millennio a.C. da est a ovest muta il nome; immutate, in tutto il suo viaggio fino alle sponde estreme del Mediterraneo le sue caratteristiche divine. Certamente anche per questa figura esiste il problema dell'origine, e come già detto nell’introduzione, se non è possibile identificarla con l’ipotetica “grande madre” preistorica, questa tesi permane assai complessa e in definitiva insoluta e insolubile. Non potendo risolvere la questione delle origini, molto più interessante è definire il carattere della dea. L’aggettivo che la definisce al meglio è: potente. La dea è potente perché è la dea della fertilità, della nascita. Governa il tempo: il nuovo anno (che inizia con la primavera) è segnato dal rifiorire della natura in coincidenza con le sue nozze. Il rituale prevede la celebrazione delle nozze sacre con Dumuzi. La natura muore quando Inanna scompare dalla Terra e si avventura nel regno dei morti dove regna il suo doppio, sua sorella Ereškigal, che in sumero significa Signora della grande Terra, tradotto in linguaggio contemporaneo, Signora dell’oltretomba. Il testo sumerico più lungo e complesso su Inanna giunto fino a noi è il poema La discesa di Inanna agli Inferi, conosciuto per la maggior parte da tavolette rinvenute negli scavi di Nippur, nel sud dell’attuale Iraq. Il mito narra di come Inanna scenda nell’oltretomba. Prende con sé sette Me (personificati come accessori e capi di vestiario della dea), parte con la fida ancella Ninshubur e bussa alle porte della “Terra” (termine con cui comunemente viene identificato l’aldilà). Le viene chiesto da parte di Neti, il custode, il motivo di un tale viaggio. Inanna spiega che è venuta per rendere omaggio a sua sorella Ereshkigal, signora dell’oltretomba, e a portarle le sue condoglianze per la morte di Gugalanna, suo marito, il “toro del cielo” (ucciso da Gilgameš nell’epopea legata all’eroe). Viene fatta entrare sola e passa attraverso sette porte, dove le vengono sottratti progressivamente i Me. Infine, nuda, viene introdotta davanti ad Ereškigal e agli Anunnaki (i giudici degli inferi in questa versione del mito), che la condannano e la mettono a morte. Ninshubur va a chiedere aiuto per la padrona e la sua supplica trova ascolto presso Enki. Il dio modella con lo “sporco” tratto da sotto le sue unghie due creature “né femmina, né maschio” (che non potendo generare, non sono soggette al potere della morte). Costoro volano nell’oltretomba e convincono Ereškigal a restituire il cadavere di Inanna e, avutolo, fanno risorgere la dea aspergendola del cibo e dell’acqua della vita. Inanna però non può tornare dagli inferi senza qualcuno che la sostituisca. I Galla (demoni del destino) propongono diverse sostituzioni: Ninshubur, i suoi due figli Shara e Lulal, ma la dea rifiuta di condannare a morte queste persone a lei fedeli anche nel periodo della sua morte. Infine la conducono dal suo sposo Dumuzi. Egli siede soddisfatto sul trono della moglie, sfoggia ricche vesti, senza traccia di lutto per Inanna. Per questa ragione la dea, irata, lo consegna ai Galla. Dumuzi riesce a fuggire per opera del dio Utu, ma viene ripreso dopo un lungo inseguimento e condotto agli inferi. La sorella di Dumuzi, Geshtinanna, va alla sua ricerca e le sue lacrime impietosiscono Inanna, che decide di accompagnarla. La dea e la mortale vagano a lungo, finché una “mosca sacra” (sorta di deus ex machina) dice loro dove si trova Dumuzi: ad Arali, luogo di confine tra il mondo degli uomini e gli inferi, dove viene raggiunto infine da Inanna e Geshtinanna. La pietosa sorella risparmia la morte al fratello, ma per la legge dell’oltretomba, Dumuzi e Geshtinanna dovranno risiedere a turno per metà dell’anno nel regno di Ereshkigal. Il mito è generalmente interpretato come una raffigurazione del ciclo della vegetazione. Dumuzi (divinità della fertilità), giace per sei mesi con Inanna (che rappresenta la potenza della generazione e dunque Dea Madre) e per sei mesi con la sorella “oscura” di lei, Ereshkigal (il letargo invernale, rappresentato simbolicamente dalla morte). Il dualismo Dumuzi/Geshtinanna viene messo in relazione con l’alternarsi stagionale dei frutti della terra (le messi per Dumuzi e la vite per Geshtinanna).
La sacerdotessa principale del culto di Inanna / Ištar ha un ruolo fondamentale nella custodia del potere e della sua legittimazione e stabilità, garantendo di anno in anno il ritorno della primavera del raccolto e della fertilità della terra. Esiste una sorta di dualità tra il sovrano e la sacerdotessa principale di Inanna/Ištar[4].
En-hedu'an-na (circa 2354 a.C.), principessa reale figlia di Sargon, fondatore dell’Impero mesopotamico di Sumer e Accad fu la sacerdotessa-capo nella città-stato di Ur. È la prima donna studiosa di scienza di cui vi sia una testimonianza, è la co-promotrice della politica religiosa culturale del regno accadico: il padre per consolidare in tutto l’impero di Accad la supremazia della sua dinastia, decise di attuare un cambiamento radicale nella politica dell’impero promuovendo la dea Inanna/Ištar a capo del pantheon accadico con lo scopo di cementare l’unione del nord accadico/semita con il sud sumerico. Sua figlia, la principessa sacerdotessa, è l’autrice della deliziosa opera letteraria in lingua sumerica intitolata “L’esaltazione di Inanna/Ištar[5]”.
Consolidandosi la supremazia semitica in tutto il Vicino oriente la divinità assunse sempre di più il ruolo di dea della guerra, raffigurata anche con caratteri maschili. In particolare nel I millennio il nome Ištar diviene sinonimo di divinità femminile: le sue caratteristiche eponime si dispiegano in tutto il percorso dalla Mesopotamia verso la Siria, Palestina fino alla costa del Libano cosicché la riconosciamo nei nomi di Ištar, Eštar, 'Aštar, Ištar, Ashtar, Astarte/Tanit, nel sudarabico Athtar. Si identifica come divinità astrale, stella Venere e anche semplicemente come “Signora” in semitico dell’ovest Belet/Bala’at/Baltis a Byblos: questo nome è il femminile corrispondente a Baal/Bel “Signore” in ambito siro-fenicio e nelle città colonizzate dai Fenici. Carattere più spiccato di Astarte fenicia sembra essere quello di Dea Madre: una caratteristica che in origine la collega a una concezione naturistica. Essa è la terra madre, progenitrice comune di tutti gli esseri viventi, piante, animali esseri umani, fecondata dal suo sposo celeste, il dio Baal. Memoria di questa concezione primitiva potrebbe riconoscersi nel vocabolo arabo ‛aththarī, epiteto per il suolo reso fertile dalle piogge in contrasto con quello irrigato artificialmente: tratto notevole perché gli Arabi settentrionali preislamici hanno perduto, nella loro religione, ogni traccia del nome Astarte. Passati i Fenici dallo stato nomade a quello sedentario, Astarte divenne la dea protettrice e signora di singole città, la ritroviamo, oltre che a Byblos, in quasi tutte le metropoli fenicie come Tiro e Sidone, nelle colonie Cipro, Sicilia, Malta, Cartagine. Il suo culto in Fenicia è documentato fin dal II millennio a. C. in iscrizioni egiziane e assire relative a quella regione, come nelle lettere di Tell el-‛Amārna. Al di fuori della zona culturale fenicia il culto di Astarte è attestato presso i Filistei (I Re [Sam.], XXXI, 10) e presso i Moabiti; esso penetrò anche tra gli Ebrei, e i passi biblici citati si riferiscono appunto all’erezione di altari ad Astarte da parte di Salomone, i quali furono poi distrutti dal re ortodosso riformatore Giosia.
L’iconografia mesopotamica della Dea madre è rappresentata dal segno Ω che rappresenta l’utero, a cui a volte si unisce il segno del coltello, strumento usato per tagliare il cordone ombelicale. Rappresentazioni antropomorfiche della Dea Madre, sono difficili da identificare rispetto a descrizioni di altre divinità femminili. La dea Inanna/Ištar, che nell’elencazione delle divinità mesopotamiche non rappresenta strettamente la Dea Madre, quanto invece una divinità della triade astrale, legata alla stella Venere, dea dell’amore erotico sensuale e divinità guerriera, in relazione alla sua presenza nella mitografica sumerica e accadica e del suo ruolo legato ai miti di morte e rinascita legati ai cicli vitali dell’essere umano e della natura ha varie rappresentazioni. La sua iconica potenza e la dimensione nella triade astrale che la identifica con la stella/pianeta Venere si ritrova nella raffigurazione della stella a otto punte. Caratteristiche principali dell’immagine della dea Inanna/Ištar come Dea Madre archetipica, con le sue probabili metamorfosi linguistiche e iconografiche sono: la bellezza che incute timore; la presenza del leone che la divinità soggioga stando in piedi sulla sua schiena; gli occhi brillanti e fulminanti (si incastonavano gemme nelle orbite per rendere vivo la sguardo). È un’immagine che trasmette forza e potenza. La più antica attestazione in Mesopotamia del leone come attributo di Inanna-Ištar è nel motivo decorativo che lo ritrae nel trono della dea. In Anatolia il leone accompagnerà regolarmente la Grande Madre. I colori rosso e il blu e l’azzurro lapislazzulo, i due colori dominanti della spettacolare porta di Ištar a Babilonia, sono utilizzati per ricordare il duplice aspetto maschile e femminile della divinità guerriera[6]. L’iconografia plastica delle divinità femminili semitiche, tra cui la caratteristica “dea nuda”[7], sembrano riferirsi ad Astarte; ma anche in questo caso, come è stato detto sopra, è praticamente impossibile distinguere le varie differenziazioni di nomi e di attributi che l’antichissima divinità femminile ha subìto nel tempo e nello spazio. Molto diffusa è una rappresentazione di Astarte con grandi corna ricurve, sul cui tipo ha probabilmente influito quello della dea egiziana Hathor; il nome di una città israelitica, ‛Astěrōth Qarnaym “Astarte dalle corna”, sembra riflettere questa concezione. Infine i flussi migratori della fine del I Millennio a.C., i “Popoli del Mare” Filistei, Cananei, i Fenici e loro colonie, portarono con sé, sebbene modificato, il culto antico della Dea Madre del Vicino Oriente. Ed è per questo che ritroviamo nei siti fenici, tra tutti Cartagine, il nome di una archetipica Dea Madre, Didone, fino a ritrovare negli insediamenti delle nostre isole maggiori, la presenza e le tracce di questa divinità matrice tanto antica.
Conclusioni
Nei miti e nelle raffigurazioni l’immagine della Dea Madre trasmette forza e potenza; Inanna è colei che vince la morte e ritorna dagli Inferi; in pegno del suo ritorno lascia alla sorella Ereshkigal il suo sposo, Dumuzi/Tammuz /Adone, diversamente dal mito greco-latino di Persefone/Proserpina[8] non è la figura femminile il pegno. La Dea è Madre di numi, esseri umani e piante, è anche associata a diverse divinità maschili e per questo la ragione risiede nella necessaria simmetria richiesta nei pantheon dell’Oriente antico. È segno di un progressivo declinare della forza generatrice della Dea Madre che si concluderà fondendosi nei tratti di dee madri dei pantheon sincretici dei culti orientali greci e romani. La storia delle religioni monoteistiche terminerà in senso paradigmatico questo percorso. L’ultima delle religioni monoteistiche, l’Islam, chiuderà definitivamente la possibilità di pensare e rappresentare una Dea Madre. I culti nelle aree centrali e occidentali arabiche tra un’infinità di spiriti (jinn) e divinità minori, individuate con rocce, alberi o alture, ebbero in Hijaz tribù arabe, in epoca preislamica, che dettero prevalenza al culto di divinità femminili: Manat, al-Uzza e Allat, subordinate a un Dio più importante ma senza santuario né, forse, rappresentazione visibile: Allah. L’avvento dell’Islam avrebbe cancellato definitivamente e senza appello nella penisola arabica e nelle terre di espansione dell’Islam ogni traccia di una Antica Madre/Dea Madre in nome di un unico Dio: questa volta senza ombra di dubbio un Dio Padre.
BIBLIOGRAFIA
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Sitografia
Progetto Ancient Mesopotamian Gods and Goddesses: http://oracc.museum.upenn.edu/amgg/index.html#top
[1] L’eminente archeologo epigrafista francese André Parrot scopritore della città mesopotamica di Mari soleva ricordare che il patrimonio della Siria racconta la storia della civiltà dai Sumeri dal 4.000 a.C. alla fine dell’Impero ottomano nel 1918 tanto che affermò “…ogni persona ha due patrie…la sua e la Siria” cfr art. cit. R. Yassin-Kassab, Internazionale, n.119, 11 settembre 2015.
[2] Nel pantheon sumero accadico esiste una divinità detta Ninmah, Nintud/r, Belet-ili riconducibile alla Dea Madre per il dettaglio cfr il sito alla pagina:http://oracc.museum.upenn.edu/amgg/listofdeities/mothergoddess/index.html.
[3] Il nome sumerico (lingua non semitica) Inanna (da Nin.an.na(k) “signora del cielo”) si trasforma in accadico (lingua semitica) in Ištar; in relazione a una ipotetica origine di dea madre si è sdoppiato il nome in Innin e Inanna (I. J. Gelb, in Journal of Near Eastern Studies, 1960, pp. 72-79).
[4] Cfr http://oracc.museum.upenn.edu/amgg/listofdeities/inanaitar/index.html “The role of the goddess in legitimizing political power was not, however, restricted to her masculine aspect as the warlike Ištar but is attested also for the sexual Inana in her female aspect. Attributed to early Sumerian history, the so-called “sacred marriage” ceremony celebrated the marriage of Inana (represented by her high priestess) and Dumuzi marriage ceremony celebrated the marriage of Inana (represented by her high priestess) and Dumuzi (represented by the ruler) during the New Year's festival to ensure prosperity and abundance (Szarzyńska 2000: 63). Practiced in the late third and early second millennium BCE, the sacred marriage rite, which may have “have been only an intellectual construct, rather than an event in real life”, nevertheless served to express the relationship between the king and the divine world (Jones 2003: 291). Accordingly, that many third-millennium rulers described themselves as her spouse, points to Inana's significant agency in wielding political power (Westenholz 2000: 7)”.
[5] Cfr L’Esaltazione di Inanna il testo critico, William W. Hallo e J.J.A. Van Dijk, The Exaltation of Inanna, New Heaven and London Yale University Press, 1968.
[6] Barret (2007: 27).
[7] Cfr l’immagine della divinità nuda su belve feroci di volta in volta indicata con nomi diversi a seconda dell’esigenza.
[8] Cfr P. Ovidio Nasone, Le Metamorfosi, V, 359 – 464 testo latino a fronte, Einaudi, I Millenni, Torino, 1994, descrive un ratto violento da parte di Plutone.