La pandemia da Covid-19 ha amplificato e aggravato i fragili equilibri sociali e compromesso le economie del Vicino e Medio Oriente e del Nord Africa. Alcune considerazioni alla luce dei principali elementi di criticità e una flebile luce di speranza per un cambio di rotta inaspettato.

Sono trascorsi oramai trent’anni dalla guerra del Golfo tra nazioni occidentali più gli alleati sauditi ed egiziani contro l’Iraq, che ha drammaticamente destabilizzato la Regione, generando e accentuando conflitti insiti e mai sopiti nel mondo arabo musulmano, a partire dall’atavica contrapposizione tra maggioranza sunnita e minoranze sciite. Elemento conflittuale anche alla luce dei recenti accordi di Abramo lascito internazionale dello sconfitto Donald Trump, che la nuova amministrazione del Presidente Biden, intende mantenere. La normalizzazione dei rapporti tra Emirati Arabi Uniti, Bahrein con Israele produce effetti positivi nelle alleanze economiche e finanziarie di questi paesi, e nel contempo preannunciano nuovi conflitti nella regione, un’ondata di violenza e di terrore che rischia di coinvolgere tutta l’area mediorientale.

Le relazioni attivate da Tel Aviv con Sudan, Oman, Abu Dhabi e finanche con l’Arabia Saudita per interposto Bahrein, infiammano la negletta questione palestinese, rafforzando la cooperazione tra Hamas e Hezbollah in Libano, paese in una gravissima crisi economica e politica, confinante con la Siria. Il Levante accoglie la stragrande maggioranza di profughi della guerra siriana, subisce i contraccolpi del rinnovato dominio di el-Asad e la pressione di presenze qaediste e ISIS, in lotta con le forze di opposizione siriane e della resistenza curda del Rojava. In questo scenario geopolitico nuove e inattese alleanze potrebbero utilizzare il conflitto irrisolto israelo-palestinese come elemento destabilizzante contro gli stati islamici sunniti, garanti anche della difesa degli interessi statunitensi contro Russia e Cina, da parte di potenze dell’area quali Turchia Qatar e Iran, ben decise a far valere il peso della loro influenza militare, e in particolare la Repubblica islamica iraniana, la quale non abdicherà al suo ruolo preminente nel bacino del Mediterraneo.

Dopo dieci anni dalle cosiddette Primavere arabe non sono risolti ma aggravati i temi delle proteste popolari.

In Algeria, Sudan, Iraq, Siria, Egitto povertà, corruzione, disoccupazione colpiscono le popolazioni stremate dalla pandemia, e non solo: lock-down e crisi dei prezzi del petrolio conseguenti alle cambiate condizioni del mondo a causa del Coronavirus, mettono in crisi e in ginocchio in maniera inaspettata anche realtà ritenute inossidabili. La protesta sociale, la perdita di PIL della Regione tra il 5,7 fino al 13%, una massiccia presenza di gioventù anche istruita e senza prospettive, innesca materiale esplosivo. 

Eppure anche nelle peggiori crisi esistono opportunità. In Tunisia la transizione democratica appare ancora in divenire verso un possibile percorso per la democrazia, dopo la Rivoluzione per la Dignità o Thaurath al-Karama, affidato a giovani e donne. Le attiviste di Ena Zeda, equivalente del movimento Me Too, delineano spiragli politici nella transizione economica e culturale grazie al loro attivismo. 

Tutto lo scenario mediorientale potrebbe davvero cambiare “se” l’empowerment femminile non fosse più solo uno slogan. Lo studio finanziato dall’Unione Europea pubblicato nel 2019: ”Imagining Future(s) for the Middle East and North Africa” ipotizza uno scenario a medio termine che coinvolge direttamente le donne. Nel 2020 l’area MENA aveva il peggior Gender Gap Index del pianeta. Come già dimostrato la Tunisia eleggendo Suad Abderrahim sindaca di Tunisi e Khalthum Kannou prima candidata alla Presidenza della Repubblica, il considerevole numero di parlamentari in Turchia e una consistente crescita di funzionarie statali in Iran, evidenziano una sfera pubblica politica, economica, imprenditoriale oggi particolarmente vivace.

 Urbanizzazione digitalizzazione e attivismo hanno incentivato alla partecipazione al mercato del lavoro e dell’impresa, e-commerce in particolare, sempre più donne. 

Interventi legislativi contro la violenza sulle donne, e le mutate condizioni in termini di equità e pari opportunità in Algeria, Marocco, Libano, Giordania hanno immesso un inatteso dinamismo nelle economie locali.

 Per la prima volta dopo sessant’anni l’Arabia Saudita (Word gap Index 2020 posizione 148) è in una grave situazione economica; non più sostenuta dagli ingenti introiti petroliferi ha bisogno dell’apporto lavorativo di uomini e donne. Una popolazione giovane under trenta, in rapido incremento, non permette di mantenere i livelli attuali di assistenza sociale ai 22 milioni di abitanti della monarchia assoluta. L’ambizioso programma economico promosso dal principe Bin Salman, SaudiVision2030 vorrebbe trasformare l’economia basata sul petrolio in una economia post-petrolio dipendente, e immettere la maggior parte della popolazione saudiana nel mercato del lavoro con criteri rivoluzionari per la tradizione del paese: rinuncia all’apporto dei milioni di immigrati forza lavoro, accesso alle carriere per merito e capacità, non per appartenenze tribali familiari. Le donne sono la chiave di volta del cambiamento: meglio istruite, meno riluttanti degli uomini a svolgere lavori di cura, più desiderose di svolgere ruoli attivi. 

La tradizione saudita le pone in una posizione subordinata nella rigida società patriarcale e tribale. La sottomissione alla custodia maschile e il divieto di guida erano stati fino al 2018 l’ostacolo insormontabile per far crescere il numero di donne impiegate come forza lavoro. La classe media odierna non poteva sostenere le spese di un autista per portare le donne al posto di lavoro; istituzionalizzare l’assenza dal lavoro del marito per portare la moglie dal medico dal dentista o a fare la spesa in assenza di mezzi pubblici adeguati e fruibili per le donne, inconcepibile e insostenibile. Alla fine meglio togliere il divieto alla guida per le donne, per il bene dell’economia del paese, con l’intento di alzare il rapporto di solo una donna su cinque occupata, beneficiando del loro sapere e dello stimolo inevitabile che la loro presenza pubblica darà al mercato del lavoro. Oramai è tempo di superare gli hudud, limiti e impedimenti per svolgere un nuovo ruolo nella società e nella famiglia, per realizzare una trasformazione necessaria a lungo attesa che potrebbe capovolgere le previsioni ultime per tutta la regione mediorientale e nordafricana, verso un destino di sviluppo, contrastando un fato ineluttabile e predestinato di autoritarismi e conflitti.

Giuliana Cacciapuoti - esperta in cultura islamica e del mediterraneo

Iscriviti alla newsletter

Giuliana Cacciapuoti
P.IVA 08039621217

Graphic and design: Sokan Communication | Photo by Monica Memoli - Emanuele Di Cesare
Privacy Policy - Cookies Policy
Sito protetto da reCAPTCHA: Privacy - Termini