Il 4 agosto 2020 una esplosione violentissima, considerata una delle più grandi non nucleari mai registrate nella storia, distruggeva il porto di Beirut, capitale del Libano, sconvolgendo e radendo al suolo tre quartieri della città Mar Mikhael, Karantina e Jammaize, vicini all’area portuale.

Lo scoppio di tremila tonnellate di nitrato d’ammonio stoccate da anni, una bomba ad orologeria che alla fine è detonata, ha provocato la morte di 218 persone, oltre 7mila feriti, 300mila sfollati. Il disastro ha dato un colpo ferale alla nazione. Nel porto di Beirut erano stoccate circa l’85 per cento delle scorte di cereali del Libano, con grave danno per la sicurezza alimentare di un paese che dipende dall'importazione di cibo per l'80 per cento dall'estero.  

A tre anni di distanza la crisi è stata aggravata dalla guerra in Ucraina e dall’attesa del grano da altri lidi. La città dal punto di vista abitativo conta la  perdita di 77 mila appartamenti danneggiati; i danni totali sono stati stimati tra i 3,8 e i 4,6 miliardi di dollari. Eppure nonostante il disastro e la drammatica crisi morale e materiale in corso nella terra dei Cedri, il profilo di questo mese è simbolo di resistenza e rinascita. Raccontiamo di una donna libanese, araba, cosmopolita, non sappiamo se sia musulmana, ma lo strappo alla regola, nel caso non fosse, per lei vale la pena.

 

Ci occupiamo di e attivista per la conservazione del patrimonio artistico e culturale del Libano. Dal 2017 è la direttrice dell’Iniziativa per il Vicinato all’Università Americana di Beirut (AUB), che si occupa di vivibilità e diversità, promuovendo la cittadinanza critica all’interno della comunità della AUB. Ha lavorato a campagne sulla conservazione del patrimonio ed è riuscita a salvare dalla demolizione l’edificio Barakat, oggi divenuto Beit Beirut, il Museo della memoria della città. Attivista di Beirut Madinati (traduzione: Beirut è la mia città) e di APSAD (Associazione per la Protezione dei Siti e delle Antiche Dimore in Libano) agisce in un contesto nel quale la ricostruzione non è solo legata al restauro di edifici crollati. Un progetto simile all’attività di El Hallak, è stato finanziato dall’Agenzia Svizzera per lo Sviluppo e la Cooperazione coordinato dall’architetto libanese Karim Nader, in collaborazione con la collega Ivana Nestorovic per riaprire dieci scuole nel centro storico di Beirut. La stessa idea e visione da sempre sostenuta dall’architetta Hallak; il recupero della memoria storica dei luoghi, il contrasto alla gentrificazione del nucleo popolare e antico della capitale, e il concetto di architettura come accoglienza; sostiene programmi abitativi sociali che affrontano i due temi cruciali non solo in Libano ma nel mondo contemporaneo: la presenza di profughi o immigrati, in Libano c’è la più alta presenza di popolazione rifugiata dalla Siria, e la precarietà abitativa per le fasce deboli. Architettura, recupero e restauro possono dare un fattivo contributo a evitare l’acuirsi di questi problemi.

La storia e l’esempio di Beit Beirut è un esempio virtuoso. Mona el Hallak ha trasformato in Museo un edificio-simbolo storico, artistico e culturale della capitale. Costruito a inizio Novecento, Casa Barakat che prendeva il nome dai primi proprietari è poco distante dal centro della città, dove durante la sanguinosa guerra civile (1975 -1991) c’era la Linea verde che divideva Beirut in due parti, postazione strategica per i cecchini di fazioni opposte. Il palazzo è rimasto in piedi, sforacchiato dai proiettili,  ha resistito, non è stato demolito, come invece le politiche di ricostruzione avevano in progetto: cancellare il passato per ricominciare senza memorie del passato.   

Il primo incontro tra Casa Barakat e la giovane laureata in architettura el Hallak è nel 1994. “L’edificio è una forte rappresentazione simbolica del Libano e di Beirut, perché una connessione molto sottile ci unisce mentre continuiamo a vivere lungo le divisioni”dice Mona. L’edificio ospitava varie attività ricreative, commerciali, culturali. Nel 2010 Mona el Hallak incontra la fotoreporter Delphine Darmency, che si occupava di ricostruire la storia dell’Hotel Excelsior e la sua discoteca Les Caves du Roy presenti nell’edificio. Le immagini di vecchi negativi ritrovati in locali abbandonati e fatiscenti hanno rinvigorito la volontà di realizzare Beit Beirut, una “casa” per la città. Dopo molti anni il lavoro il progetto di el Hallak e Darmency diventa finalmente reale. La prima attività è una mostra dal titolo evocativo, Allo, Beirut?dal titolo di una canzone di una delle stelle della musica libanese, la cantante Sabah. Le parole e la melodia fanno riaffiorare il ricordo del Libano che fu, tesoro della memoria collettiva di un popolo che sfida le amnesie del dopoguerra. Il recupero del vecchio edificio, la sua conversione in Museo della memoria e la mostra interattiva inaugurata nel 2023 sono il frutto di un’azione collettiva, sinergia di ricercatori, artisti e giornalisti, con la finalità di coniugare senso di appartenenza, discutere del passato, sognare un futuro. Mona El Hallak, riflette sulla mostra e al magazine Altra economia dice che ospitarla a Beit Beirut aveva un triplice scopo. “Per la prima volta abbiamo avuto la possibilità ospitare un progetto in perfetta sintonia con lo spirito del luogo, poiché entrambi hanno una storia di abbandono e memoria della città. Poi volevamo provare che, attraverso un approccio artistico multidisciplinare, ci sono centinaia di modi di raccontare la storia di Beirut. Al tempo stesso, volevamo mostrare tutto il potenziale di Beit Beirut come un luogo dove si può discutere del futuro riflettendo sulla nostalgia del passato. Stiamo dimostrando che gli anni Sessanta non sono stati così poi così belli. Ieri, come oggi, la politica non si prendeva cura dei suoi cittadini e la prosperità era solo per pochi.” Un ‘altro impegno importante di El Hallak è evitare di rappresentare gli anni Sessanta libanesi come età dell’Oro. La ricostruzione dell’ufficio del proprietario Gay Para del locale Les Caves du Roy, sostenitore di riforme sociali, critico con la classe politica attenta solo all’arricchimento personale coglie questo intento.  Il parallelismo con la crisi attuale libanese, riaffiora dalla documentazione messa in mostra delle vicende delle banche fallite durante gli anni Sessanta, e oggi come allora i risparmi della popolazione andarono in fumo.

Il Libano conosce una crisi infinita e ogni tragico avvenimento, proteste civili, esplosione del porto, pandemia, guerre, insicurezza alimentare hanno aggravato anno dopo anno la situazione. Beit Beirut insegna al mondo la resistenza dell’anima libanese. La mostra che si è chiusa a giugno del 2023 a causa del costo eccessivo dell’aria condizionata nei mesi estivi, ha colmato il vuoto politico sul dibattito nella ricostruzione e conservazione del patrimonio e nel racconto della guerra civile in Libano: sono le persone che se ne occupano, in  spazi collettivi e comunitari.

 A tre anni dall’esplosione del porto una nuova consapevolezza della tutela del patrimonio architettonico materiale e delle memorie immateriali sono motori di rinnovamento nella società libanese. Mona el Hallak, la sua perseveranza per realizzare il suo sogno di Beit Beirut sono un esempio significativo: ha lavorato quasi trent’anni per dimostrare “…. che un’altra narrazione della città è possibile. Noi libanesi siamo abituati a voltare pagina e ad andare avanti nelle nostre vite. Questo è solo l’inizio”.

 

https://www.newarab.com/features/battle-save-beiruts-unique-architectural-heritage

https://www.youtube.com/watch?v=HpBXeeqLCFU

https://www.youtube.com/watch?v=QiBQr71luyU

https://altreconomia.it/beit-beirut-una-casa-per-la-memoria-nel-cuore-del-libano/

https://www.newarab.com/features/allo-beirut-lebanese-exhibition-embraces-memory

https://www.artribune.com/progettazione/architettura/2021/04/ricostruzione-libano-scuola-intervista-karim-nader/

 

Profili, memorabili donne musulmane a cura di Giuliana Cacciapuoti

Ritratti di donne diverse per nazionalità e “peculiarità” nel loro contesto culturale per accendere una luce sul mondo musulmano contemporaneo con uno sguardo di genere. Figure note nel mondo musulmano ma non al pubblico italiano; rappresentano aspetti molto diversi del mondo islamico, spunto per il dibattito e la riflessione.

Giuliana Cacciapuoti - esperta in cultura islamica e del mediterraneo

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