La penisola arabica è occupata in maggioranza da aree desertiche; nella cultura dell' Arabia preislamica il deserto rappresentava il centro della vita tribale beduina, il miglior adattamento della vita umana alle condizioni climatiche del luogo.
Il deserto non è però solo un "habitat", custodisce tradizioni sacre, preserva lingua e usanze. La regione, stretta tra due bracci di mare troppo esigui per interrompere una continuità climatica, distingue tre diverse zone desertiche: a nord sabbia bianca e rossastra, dal nord verso sud sabbia rossa e a occidente e nel centro lava increspata e spaccata che copre l'arenaria. Il grande Nefud a nord e il "Quarto Vuoto" ossia Rub'al Khali il più grande deserto di sabbia del mondo, i nomi dei deserti. In questo contesto, l'epica beduina "badawa" diede origine alla qaṣīda, sua esaltazione lirica, una composizione poetica monorima trasmessa oralmente.
Strutturata tipicamente in tre sezioni, nasīb (preludio elegiaco o amoroso), raḥīl (viaggio attraverso il deserto) e madīḥ (elogio, spesso rivolto al mecenate o alla tribù), la qaṣīda rifletteva il legame profondo tra uomo e ambiente desertico. Il deserto era cantato come luogo di memoria, di sfida e di rivelazione esistenziale, poi con l’avvento dell’Islam, il deserto acquisisce nuovi significati religiosi. È lo scenario della rivelazione coranica e della vita del Profeta Muḥammad, ma anche simbolo della prova e della privazione.
Nel linguaggio coranico e teologico, si contrappone al janna (giardino paradisiaco), o meglio l'idea stessa del Paradiso musulmano: luogo di frescura, acque fluenti e abbondanza. Questa opposizione deserto/giardino non è solo geografica, ma anche escatologica e morale.Per la corrente mistica dell’Islam, il Sufismo, il deserto diventa metafora del cammino interiore. Attraversare il deserto significa spogliarsi dell’ego, affrontare il vuoto e il silenzio, confrontarsi con le proprie ombre per giungere a una nuova consapevolezza. È necessario lasciarsi alle spalle abitudini, certezze e legami con il passato per intraprendere un cammino segnato dal nuovo e dall’ignoto. Il deserto sussurra ma solo chi sa ascoltare nel silenzio può coglierne la voce.
In questo risiede l’essenza della meditazione: un ascolto profondo e quieto del proprio Sé interiore, quello che nel taṣawwuf (il sufismo) è chiamato “l’Io più grande”. Solo attraverso questa apertura silenziosa si può giungere alla luce.
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